Domande originali in colloquio: più pro o più contro?

Quante finestre ci sono a Milano? Qual è il tuo gioco da tavola preferito? Quante palline da tennis ci starebbero in questa stanza? Può capitare in fase di colloquio di imbattersi in questo genere di domande, prive di risposte standard, ma che mirano a testare nei candidati la capacità di ragionamento, di fare stime e […]

Domande originali in colloquio: più pro o più contro?

Quante finestre ci sono a Milano? Qual è il tuo gioco da tavola preferito? Quante palline da tennis ci starebbero in questa stanza?

Può capitare in fase di colloquio di imbattersi in questo genere di domande, prive di risposte standard, ma che mirano a testare nei candidati la capacità di ragionamento, di fare stime e previsioni, ma anche capaci di provarne la gestione dello stress.

Non parliamo dello spaesamento dettato da quelle che possono essere domande illecite su questioni private, ma di quesiti che possono inizialmente apparire un po’ … fuori contesto. Si tratta di una tecnica che oggi troviamo trasversalmente in piccole e grandi aziende, ispirata dall’approccio di alcune multinazionali – come Google, Apple, Facebook o Amazon.

Questo genere di domande viene affiancato alle più tradizionali per misurare il pensiero laterale e la creatività dei candidati. In questo modo sarebbe inoltre possibile valutare la capacità di ragionamento dei candidati in una situazione di tensione.

A proposito del colosso dell’e-commerce Amazon, sembra che Jeff Bezos – quando ancora seguiva personalmente i colloqui dei nuovi collaboratori – di fronte al candidato in esame si chiedesse: “è una persona che ammirerò?”. Il curriculum e le hard skills erano importanti, sì, ma anche la persona faceva indubbiamente la sua parte. Bezos cercava risorse da cui prendere esempio e lasciarsi ispirare, e per fare questo ne testava l’onestà, la capacità di mettersi in discussione o la creatività.

Il nostro sondaggio

Tramite un sondaggio su LinkedIn, abbiamo di recente domandato agli utenti quale opinione avessero di questo genere di domande durante i colloqui.

Ecco cosa abbiamo scoperto:

Gli utenti del nostro campione hanno sottolineato l’aspetto dinamico e stimolante (67%), che può rendere l’intervista sicuramente memorabile e meno monotona. Il 20% dei rispondenti ha invece affermato che non ne condivide l’approccio, mentre l’11% li trova eccessivamente stressanti.

La questione dello stress è particolarmente interessante perché il colloquio può rappresentare di per sé un momento delicato per il candidato che deve dimostrare le sue qualità e raccontarsi davanti ad un recruiter o un responsabile aziendale.

C’è il rischio che questo domande mettano in difficoltà il candidato invece che promuovere uno scambio sereno volto alla reciproca conoscenza? Queste domande permettono davvero alle aziende di selezionare i candidati migliori?

Chiediamolo a un’esperta

Francesca Cancian

Per rispondere a queste domande e approfondire la discussione, ho parlato con un’esperta di colloqui e selezione, Francesca Cancian, co-fondatrice di Talent’s Angels.

Buongiorno Francesca. In quanto Head Hunter conosci bene le dinamiche di un colloquio e i segreti per garantire il successo della selezione. Cosa pensi della tendenza a porre domande non convenzionali durante il colloquio? Ritieni che possano contribuire a migliorare la qualità della selezione?

Devo confessare che durante il colloquio di selezione io tendo a non porre un numero molto elevato di domande al candidato. Non amo pormi nella situazione del poliziotto che interroga il sospettato e cerca di estorcergli delle informazioni compromettenti. Solitamente, dopo aver fatto una presentazione il più accurata possibile del contesto aziendale e del perimetro della ricerca, amo lasciare spazio ad una presentazione libera del candidato e mi metto in una fase di ascolto attivo, – una tecnica che mutuo dal coaching – in cui seguo il flusso di pensiero del candidato e a posteriori ne ricostruisco i passaggi logici. Per me è fondamentale instaurare un rapporto di fiducia durante il colloquio e porre le basi di una relazione che spesso andrà avanti negli anni. Il colloquio deve essere un momento piacevole in cui ci deve essere uno scambio ed arricchimento da entrambe le parti. Le domande che faccio sono principalmente volte a comprendere come siano state fatte le scelte nei momenti cruciali del percorso professionale da parte del mio interlocutore. Non sono mai domande standard, che annoiano in primis me, ma sempre coerenti con quello che mi viene raccontato. Quindi ogni colloquio è diverso dall’altro.

L’obiettivo è che le domande siano sempre utili a me per capire, ma anche al candidato per avere delle nuove consapevolezze sulle sue motivazioni o sui suoi valori.

Preferisco riservare domande insolite ai percorsi di coaching, più che a quelli di selezione, dove credo che utilizzare un linguaggio metaforico possa aiutare il cliente a fare degli scatti di consapevolezza e a trovare delle soluzioni difficilmente individuabili attraverso un approccio più razionale.

Ti è mai capitato di fare questo genere di domande?

Una domanda forse non convenzionale che qualche volta faccio è questa: Se potesse ricominciare da capo cosa cambierebbe nel suo percorso professionale?

Quanto influisce la personalità del candidato sulla scelta di porre queste domande?

La personalità del candidato influisce molto sullo svolgimento del colloquio e anche sul tipo di domande che vengono scelte per entrare in sintonia con lui. L’importante è trovare il modo per abbattere le barriere e superare quella situazione in cui ognuno gioca un ruolo e che porta a trasformare il colloquio di selezione in una partita a scacchi in cui l’obiettivo è lo scacco matto all’avversario.