La rivincita dei lavoratori over 50

Da risorse “immobili” a nuovi esperti: il mondo del lavoro degli over 50 è drasticamente cambiato nel giro di un decennio. Prima considerati una fascia d’età poco attraente da cui cercare candidati, oggi sono profili di alto interesse per gli imprenditori. Come mai? Lo spieghiamo in questo articolo.

La rivincita dei lavoratori over 50

Negli USA negli ultimi due anni si parla di re-hiring, ovvero “ri-assunzione”: la tendenza a riassumere in azienda gli over 50 che erano stati licenziati qualche anno prima, nella maggior parte dei casi prima del Covid. Anche se il fenomeno non è ancora così presente in Europa (ma non si esclude possa diventarlo nei prossimi anni), le difficoltà a reperire personale qualificato stanno portando le aziende a prendere sempre più in considerazione i profili professionali over 50, tradizionalmente meno favoriti nelle selezioni rispetto ai colleghi più giovani.

La rivincita dei lavoratori over 50

Che l’aspettativa di vita si stia allungando non è un dato che sorprende. Secondo i dati Eurostat riferiti al 2023, tale dato nel nostro Paese ha raggiunto gli 83,8 anni, in aumento di 0,9 anni rispetto al 2022. Un traguardo significativo anche confrontato alla media dell’UE, che si attesta a 81,5 anni.

Ringraziamenti alla dieta mediterranea a parte, questi dati restituiscono l’immagine chiara di un cambiamento demografico in atto da tempo e che è destinato ad influire sempre di più sulle dinamiche e politiche occupazionali italiane ed europee.

Secondo l’OCSE, in Italia nel 2030 i lavoratori con più di 55 anni rappresenteranno mediamente il 25% degli occupati. Scenari simili si prevedono anche per Germania, Inghilterra, Francia ma anche Canada, Stati Uniti e Giappone. Le imprese del Sol Levante si stanno già attivando in questo senso, provvedendo a riformulare i contratti per i dipendenti più maturi riducendo orari e ridimensionando le mansioni. Certo, parliamo del Paese con il tasso di occupazione più alto al mondo… E da noi?

Nel mercato del lavoro italiano a preoccupare maggiormente al momento è la difficoltà a trovare forza-lavoro disponibile e con tutte le skill necessarie. Ed è proprio qui che le quote degli over 50 in cerca di una nuova ricollocazione lavorativa rappresentano sempre più un target d’interesse per le aziende.

Lavoro per gli over 50 anni: il valore sta nelle competenze

Non è un segreto che investire nella formazione di un profilo giovane rappresenti per le imprese un costo non trascurabile, sia in termini economici che di tempo. Un costo che pesa ancora di più se consideriamo la crescente mobilità del mondo del lavoro, forte proprio nelle risorse più junior: secondo gli ultimi i dati, un dipendente tra 25 e 35 anni tende in media a cambiare lavoro ogni due anni.

Se sommiamo questo fattore di rischio alla necessità di fare i conti con il mismatch tra domanda e offerta di personale qualificato, ecco che sempre più aziende iniziano a rivalutare in una nuova luce la generazione dei baby boomer, prontamente rinominati in longennials. Un ribaltamento di prospettiva per una fascia di lavoratori che, fino a una decina di anni fa, venivano anche troppo facilmente etichettati come eccessivamente immobili e rigidi nella loro capacità di dare valore alle aziende.

L’importanza della seniority

Andando un po’ indietro negli anni, ovvero quando in Italia l’età pensionabile era di 60 e 55 anni rispettivamente per gli uomini e le donne (e per i lavoratori statali si arrivava alla pensione con 20 anni di contributi), se si fosse dovuto immaginare un lavoratore di 60 anni, il quadro che ne emergeva non sarebbe stato di certo dei più rosei, tra problemi di salute e rigidità al cambiamento. Oggi la prospettiva è di certo cambiata (per fortuna, possiamo dire!).

Analizzando un profilo senior in questi anni, i punti a favore che emergono sono:

  • la lunga esperienza
  • la minor formazione necessaria per essere autonomi nelle attività
  • la predisposizione a “legarsi” all’azienda per cui lavora
  • la voglia di mettersi in gioco e assumersi responsabilità
  • le forti capacità di problem solving grazie all’aver vissuto diversi cambiamenti epocali

Che il “candidato ideale” tanto cercato dalle aziende si trovi quindi nelle fasce più agee? Ammesso che questa figura magica e leggendaria esista, anche qui il sogno si deve scontrare con la dura realtà.

Pregiudizi da vincere

Uno studio condotto da due psicologhe di Harvard, Tessa Charlesworth e Mahzarin Banaji, mette in luce come gli stereotipi legati all’età (e anche alla disabilità) siano più radicati rispetto a quelli sulla razza, l’orientamento sessuale e la religione. Si stima, infatti, che mentre i pregiudizi contro gli omosessuali potrebbero essere completamente superati entro 20 anni, quelli verso le persone anziane potrebbero richiedere fino a 150 anni per essere superati.

Eppure i longennials, non solo possono essere considerati lavoratori “pronti all’uso”, ma possiedono anche un requisito molto prezioso ottenuto proprio grazie all’esperienza, ovvero l’intelligenza organizzativa. Si tratta di quella capacità che permette di saper navigare tra le dinamiche di un progetto, gestire efficacemente un team, anche a distanza, interpretare situazioni complesse e affrontare problemi con soluzioni concrete. Aspetti che decisamente contrastano con l’immaginario di lavoratori rigidi e passivi.

Lunga vita al mentoring

Ma, quindi, stiamo dicendo di smettere di investire sui giovani? Assolutamente no. Il nostro obiettivo con questo articolo (e il nostro magazine, nel suo complesso) è di proporre nuovi punti di vista sul recruiting in grado di portare alla soluzione migliore per il contesto… Dopotutto, siamo o non siamo gli angeli del talento?!

Nella nostra riflessione sui lavoratori over 50, è doveroso anche riportare un altro importantissimo valore aggiunto: la possibilità di avviare dei veri e propri percorsi di mentoring. Troppo spesso questo aspetto è impossibile da praticare nelle aziende, sia per questioni economiche che per, di nuovo, scarsità di personale.

Inserire in organico persone con una lunga esperienza in grado di seguire i più giovani nella loro crescita professionale è strategico non solo per l’operatività in sé, ma anche per l’ambiente lavorativo nel suo complesso. Chi ha almeno vent’anni di esperienza alle spalle è portatore di abilità pratiche difficili da reperire tra i più giovani, ma non solo: se opportunamente orientato, il confronto “generazionale” consente un arricchimento reciproco fondamentale per il successo aziendale.

Dopotutto, è difficile immaginare uno scambio di competenze “a senso unico”: costruendo una relazione di apprendimento reciproco e collaborazione, si arricchiscono entrambe le professionalità coinvolte, aprendo le porte a un contesto lavorativo dinamico e ben predisposto al cambiamento. Non male, no?