Settimana corta: a che punto siamo in Italia?

Lavorare 4 giorni a settimana per migliorare il benessere e la produttività dei dipendenti: opportunità o utopia? In tutta Europa aumentano le aziende che sperimentano la settimana corta e il dibattito si riaccende, specialmente alla luce dei buoni risultati ottenuti nel Regno Unito, ma qual è la situazione nel nostro Paese?

Settimana corta: a che punto siamo in Italia?

Da settimane si è riaperto in Italia il dibattito sull’introdurre la settimana corta, una soluzione che aprirebbe la strada ai lavoratori verso un migliore bilanciamento tra vita professionale e vita privata.

Si tratta di una prassi ancora limitata a specifici casi, ma è portavoce di una nuova tendenza che vuole ridimensionare i tradizionali modelli di lavoro: allontanarsi da schemi rigidi per accedere a forme di lavoro sempre più flessibili e dinamiche che consentano al lavoratore di autogestire le proprie attività e, soprattutto, il proprio tempo.

Come l’affermarsi del remote working ha sdoganato il luogo e la modalità di esecuzione del proprio impiego, non più circoscritti al solo ufficio, ora ad essere messo in discussione è il paradigma secondo cui più ore trascorse sul posto di lavoro equivalgano necessariamente a più produttività.

I segnali dall’estero

A febbraio è stato pubblicato il report ufficiale dell’esperimento di riduzione della settimana lavorativa da cinque a quattro giorni condotto in 60 aziende nel Regno Unito. I risultati? La maggior parte delle aziende aderenti ha deciso di proseguire con l’esperimento mentre per 18 di queste la settimana corta è diventata già una pratica ufficiale.

Iniziative simili si stanno diffondendo anche in Francia, Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia e Svizzera. A queste si aggiunge anche la celebre sperimentazione avviata dal comune di Valencia, in Spagna, che ha visto l’introduzione di un fine settimana lungo da sabato al lunedì. L’obiettivo è quello di valutare l’impatto di un orario di lavoro di sole 32 ore settimanali sulla produttività, il tempo libero, la mobilità e l’economia. 

E se il sindaco Joan Ribó ha commentato “vogliamo che le persone lavorino per vivere, non che vivano per lavorare“, dovremmo però aspettare dal 20 luglio di quest’anno per scoprire i risultati.

La situazione in Italia

In Italia al momento si contano già diversi esempi di aziende che stanno sperimentando la settimana lavorativa corta.

Lavazza, oltre a diversi bonus per i propri dipendenti, ha introdotto il “venerdì breve” che permetterà di uscire prima dall’ufficio per un periodo che va da maggio a settembre, per un totale di 15 settimane.

Toyota Material Handling a Bologna, ha introdotto un accordo aziendale integrativo che prevede turni di sette ore (in sostituzione di quelli canonici da otto ore, senza alcuna variazione nella busta paga), per coniugare l’aumento di produzione e l’uso dello stabilimento aziendale.

Un po’ diversa, invece, la riorganizzazione del lavoro per Intesa Sanpaolo che ha introdotto un nuovo modello di settimana lavorativa formata da 4 giorni da 9 ore ciascuno, per un totale di 36 ore lavorative, a parità di retribuzione, su base volontaria (compatibilmente con le esigenze tecniche e produttive).

Lavorare di meno per lavorare di più?

Secondo l’Eurostat, il 9,4% dei lavoratori italiani sfiora le 50 ore a settimana, superando il limite massimo di 48 ore settimanali stabilito dalla convenzione dell’organizzazione internazionale del lavoro (Oil) nel 1919.

Un dato tra i più alti d’Europa: siamo superati solo dalla Grecia con il 12,6% e dalla Francia con il 10,2%. Situazione opposta in Romania, dove il dato precipita al 2,2%, e in Bulgaria allo 0,7%.

Eppure, nonostante lavoriamo tante ore a settimana, i livelli di produttività nel Bel Paese sono abbastanza bassi. Di fronte a questi numeri, è scontato interrogarsi sull’introduzione di nuovi modelli organizzativi del lavoro.

Secondo un sondaggio Adecco Group, il 66% degli italiani interessati a questa proposta sarebbe disponibile a provare la settimana corta, ma solo a parità di salario.

Il 10% accetterebbe anche una riduzione dello stipendio, mentre il 18% lavorerebbe un’ora in più gli altri giorni pur di avere la settimana breve.

Settimana corta: pro e contro

Secondo un sondaggio condotto dall’Associazione italiana direttori del personale (AIDP), il 53% si dichiara favorevole all’introduzione della settimana corta.

Coloro che sono favorevoli indicano la possibilità di migliorare l’equilibrio vita-lavoro come principale ragione per scegliere questa modalità di lavoro.

Per il 49% dei favorevoli la settimana corta aumenta il benessere psico-fisico dei dipendenti e secondo il 27% circa aumenta la motivazione al lavoro.

I favorevoli evidenziano però anche la necessità di definire una misura della produttività basata sulle performance e la valutazione preliminare della sostenibilità economica.

Tuttavia:

  • il 33% dei lavoratori teme una diminuzione dello stipendio;
  • il 27% un aumento dei carichi di lavoro;
  • il 23% un aumento dello stress negli altri giorni lavorativi;
  • il 17% pensa che potrebbe danneggiare il proprio percorso di carriera.

Anche i direttori del personale sono divisi sull’argomento.

Per coloro che sono contrari alla settimana corta, i principali problemi sono:

  • l’incompatibilità con la situazione economico-produttiva delle imprese;
  • la difficile implementazione a livello organizzativo;
  • l’implicazione di un orario di lavoro giornaliero di 9/10 ore.

Settimana corta: utopia o opportunità?

A questo punto la vera domanda da farsi é: la settimana corta conviene davvero?

Sicuramente sarebbe impensabile concepirlo come un modello uguale e valido per tutte le aziende, i settori e le forme di lavoro.

Una prima risposta la possiamo trovare nell’immagine e nell’attrattività dell’azienda che offre la settimana corta: offrire condizioni di lavoro più flessibili e agili aumenta in maniera esponenziale la sua capacità di attirare i migliori talenti nel mercato del lavoro. Un vantaggio non da poco considerata la difficoltà di oggi nel reperire personale qualificato. Diverse ricerche hanno dimostrato come il giusto bilanciamento tra vita e lavoro sia un elemento determinante per le nuove generazioni nella valutazione delle offerte professionali. 

Una seconda risposta riguarda l’elemento chiave delle forme di lavoro più agili: la produttività aziendale. Se con l’introduzione della settimana corta vengono ridefiniti i parametri di misurazione delle performance, dando priorità al raggiungimento degli obiettivi rispetto al tempo impiegato, si avrà un incremento concreto della produttività.

In ultimo, ridurre i giorni in presenza dei propri dipendenti significa anche abbattere i costi. Non sono poche, infatti, le imprese che hanno mantenuto situazioni di lavoro agile (con il telelavoro o lo smart working) ben oltre il periodo della pandemia, consentendo di lavorare da casa un giorno a settimana proprio per motivi legati all’aumento dei costi energetici.

Ovviamente, l’introduzione della settimana corta non è qualcosa di immediatamente applicabile: come abbiamo visto nelle varie sperimentazioni in Europa, è un’ipotesi che va messa alla prova con periodi di sperimentazione sul campo. Solo testando all’interno di uno specifico contesto aziendale si può capire se la settimana corta migliora la qualità del lavoro o che non offre alcun reale miglioramento.

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