Oggi parliamo di tempo, in particolare del tempo del processo di recruiting. Quanto deve durare? È possibile mettere d’accordo la necessità dei recruiter di condurre ricerche di qualità e le aspettative dei candidati riguardo le tempistiche di risposte e feedback?
Si sa, il processo di ricerca e selezione è complesso: le attività al suo interno sono diverse e impiegano tempi anche abbastanza lunghi. Non è solo la complessità della ricerca a incidere sulla durata, anche elementi esterni – come il periodo dell’anno, la specificità della posizione offerta, la località, ecc. – influiscono notevolmente sulle tempistiche.
Anche se la tecnologia arriva a supporto dei processi di HR automatizzando diverse attività, (compilazione automatica dei form di candidatura, screening dei CV, inserimento automatico dei dati, ricerca semantica dei candidati, ecc.), il tempo rimane una variabile impossibile da ignorare. Per anni, nel valutare la qualità di una funzione HR aziendale, si è proprio guardato al time-to-hire. Qual è, quindi, il tempo giusto del recruiting?
Meglio puntare su selezioni veloci o più lente e strutturate?
In questo articolo vogliamo fare luce su questo eterno dilemma.
Il time to hire
Il time to hire è infatti uno dei principali indicatori di performance dell’attività di recruiting. Questo KPI indica il numero di giorni dal primo contatto con il candidato (candidatura in risposta ad un annuncio o primo contatto con un HR in caso di candidati passivi) all’accettazione dell’offerta di lavoro.
In breve, è il lasso di tempo che il candidato impiega per attraversare la hiring pipeline.
Non esiste un numero di giorni per chiudere una selezione valido per tutti, tuttavia, a lungo si è misurato questo fattore proprio per tenere traccia dell’efficienza e dell’impatto sullo sviluppo complessivo aziendale della funzione HR.
E allora perché i candidati lamentano processi di assunzione troppo lunghi? Secondo una ricerca di Robert Walters, un professionista su quattro (23%) si aspetta che l’azienda o la società di ricerca e selezione risponda entro due giorni dall’invio del proprio CV, mentre il 57% entro quattro giorni.
La realtà è diversa, poiché solo il 30% dei candidati riceve una risposta entro la prima settimana.
Se valutare i processi di selezione cronometro alla mano non aiuterà di certo le aziende ad accaparrarsi i migliori profili sul mercato, dall’altra parte è evidente come il time to hire abbia progressivamente smesso di preoccupare i professionisti del recruiting in favore di processi mirati a favorire la qualità dei candidati.
Una dinamica che però inevitabilmente si scontra con le aspettative dei candidati, che spesso prediligono realtà più reattive nella gestione del processo di selezione.
Meglio quindi premere l’acceleratore con il rischio che le assunzioni si rivelino “deboli” nel medio e lungo periodo o procedere con calma ma con il timore che il profilo perfetto venga “rubato” dalla concorrenza?
Il dilemma del tempo nel recruiting
Quando si avvia una ricerca, gli scenari sono tipicamente due.
Se si è fortunati, il referente, manager o direttamente il titolare, segnala per tempo la necessità di inserimento di una nuova risorsa, definendo profilo professionale, le competenze specifiche e l’esperienza necessaria.
Come dicevamo, se si è fortunati.
Nello scenario tipico, invece, è molto più probabile che questa richiesta avvenga alle 5 e mezza di venerdì sera. Ovviamente, ha la massima urgenza.
Il perché della fretta è presto detto: trovare la persona giusta velocemente può fare la differenza tra portare a casa la commessa o meno oppure concludere con successo un progetto per cui sono necessarie competenze al momento non già disponibili all’interno del team.
Considerando che quest’ultimo caso rispecchia l’80 % dei casi, l’HR si trova quindi molto spesso in una situazione abbastanza stressante. Il dilemma è dunque chiaro: a cosa puntare? Meglio prediligere le tempistiche o la qualità della selezione?
Tempo di assunzione VS qualità dei candidati
La difficile equazione che il recruiter si trova a risolvere vede la necessità di chiudere in fretta la ricerca, garantendo la miglior selezione possibile.
Nessun selezionatore ammetterebbe che selezionare in fretta e furia sia la scelta vincente (e a ben ragione!). Tra assumere in fretta e male e assumere un po’ più lentamente, ma meglio, sappiamo tutti quale sia la scelta migliore.
È questa dunque la risposta giusta? Sì, nella teoria almeno. Però sappiamo come la teoria deve scontrarsi con la vita pratica di tutti i giorni.
Il fatto è che non è possibile ignorare realmente la componente del tempo, neppure in una ricerca che punta completamente sulla qualità.
Perché il tempo per un HR è un pezzo stesso della qualità del suo operato di ricerca e selezione e, di conseguenza, ha effetti sullo sviluppo dell’azienda stessa.
Diciamo una cosa ovvia: i tempi di selezione sono tanto più lunghi quanto maggiori sono le responsabilità del ruolo che si ricerca. E questo il profilo con una certa esperienza lo sa bene: sostenere più colloqui in azienda con diversi interlocutori comporta, necessariamente, il dilatarsi del processo di recruiting. Questo non è un male, anzi, gli permette di approfondire la sua candidatura sotto più punti di vista e non a caso si guarda bene dalle realtà che propongono troppo velocemente e superficialmente un’assunzione.
Il problema si ha quando le tempistiche diventano eccessivamente lunghe. Superati con successo i vari colloqui con i diversi interlocutori aziendali, l’azienda si chiude in un misterioso silenzio. Tutto tace e il candidato non capisce il perché. Piuttosto che aspettare nell’incertezza, preferirà accettare l’offerta di un competitor che si è mostrata più reattivo nel condurre il processo di recruiting.
Più la selezione si allunga, più il rischio di perdere i candidati si concretizza, specie per i professionisti consapevoli del loro valore di mercato.
Il consiglio di Talent’s Angels
Come dice il detto: “Chi ha tempo, non aspetti tempo”. E in questo caso è vero più che mai.
Anche a noi è capitato d’individuare il candidato perfetto e perderlo a causa di attese di feedback troppo lunghe da parte dell’azienda. Un vero peccato che causa non poca frustrazione, per noi, per il candidato e, infine, per l’azienda stessa che si vede sfuggire tra le dita la persona a cui stava puntando nella selezione.
Stiamo quindi dicendo che bisogna essere veloci come la luce nelle assunzioni?
No, ma nemmeno sottovalutare la percezione del tempo dal punto di vista dei candidati che si aspettano feedback rapidi e costanti. Anzi, spesso il dilatarsi eccessivo delle tempistiche viene visto come conseguenza di disorganizzazione o poco interesse verso la selezione o la propria candidatura… E in un mercato del lavoro che richiede sempre più la necessità di saper attrarre i talenti, si rivela sicuramente una mossa controproducente nel costruire il proprio Employer Branding.