Andrea Bet: innovazione aziendale e HR

Per la nostra rubrica The Question Corner, abbiamo avuto il piacere di intervistare Andrea Bet, fondatore di Leanbet e consulente direzionale, sul tema dell’innovazione aziendale. Insieme abbiamo parlato di come è possibile trasformare le aziende con percorsi graduali e costanti, coinvolgendo strategicamente le Risorse Umane. Scopriamo insieme le prossime sfide e opportunità.

Andrea Bet: innovazione aziendale e HR

Per la nostra rubrica The Question Corner, abbiamo avuto il piacere di intervistare Andrea Bet, fondatore di Leanbet e consulente direzionale, sul tema dell’innovazione aziendale. Insieme abbiamo parlato di come è possibile trasformare le aziende con percorsi graduali e costanti, coinvolgendo strategicamente le Risorse Umane.

Scopriamo insieme le prossime sfide e opportunità.

Iniziamo con una breve presentazione: ci racconti un po’ del suo percorso di carriera.

Dopo la laurea in Ingegneria Meccanica ho lavorato come Direttore di stabilimenti in diverse realtà internazionali, prima in tre stabilimenti in estremo Oriente, poi in altri sei stabilimenti, tra Messico e Cina. Dal 2004 sono consulente Kaizen e oggi, come consulente direzionale, guido un team di professionisti, tutti formatisi sul campo, specializzati in Lean Transformation: quella trasformazione profonda e virtuosa che può permettere a ogni azienda di affrontare le sfide di un futuro che, come vediamo, è già qui.

Dal 2018 sono docente presso il corso di Gestione della Produzione della Facoltà di Ingegneria Meccanica a Ferrara. Sono inoltre docente dei Master in Operations & Supply Chain e in Lean Manufacturing del CUOA e nel corso di “Change Management” all’EMBA dell’Università di Udine.

Nella mia vita professionale non contano tanto gli obiettivi raggiunti quanto i piccoli passi che posso fare ogni giorno. Ogni mattina riparto da zero, animato da una costante tensione al miglioramento continuo, prima di tutto di me stesso: credo nel “life long learning” e ho cercato di farne una buona abitudine quotidiana.

Sicuramente lei ha un punto di osservazione privilegiato sulle aziende del territorio, a che punto siamo a livello di innovazione e di transizione verso l’industria 4.0?

Trovo che da parte delle aziende ci sia molta curiosità attorno a questo trend in continua crescita. Riscontro molte best practice e colgo un’evidente esigenza di cambiamento. In alcuni casi, però, le aziende sono troppo piccole per gestire questo tipo di progetti o sono sommerse da proposte e assillate da un gran numero di fornitori. A volte mancano loro le competenze necessarie, altre volte è semplicemente il tempo a mancare. In questo modo si rinviano scelte strategiche per il futuro.

Delegare le competenze necessarie alle software house non è sempre la scelta migliore. La Digital Transformation dovrebbe prevedere degli step precisi, dalla mappatura dei processi in essere all’individuazione delle attività a valore, dallo snellimento delle procedure per arrivare a processi di digitalizzazione che sappiano davvero creare valore, innanzitutto grazie alla loro praticità per i clienti. Il percorso dovrebbe essere graduale e, soprattutto, costante.

Che approccio adottare, quindi, per realizzare questa trasformazione?

Dobbiamo sviluppare una sorta di strabismo: ovvero far nostra la capacità di guardare al macro (all’intero settore, collocato nel contesto internazionale) e al micro, ovvero saperci immergere nella realtà quotidiana della singola azienda. Innovazione e internazionalizzazione sono obiettivi che sottendono processi che vanno governati con metodo, costanza e creatività. In ogni caso digitalizzazione e innovazione dovrebbero essere processi graduali ma costanti e devono essere strutturati sotto la lente del valore per il cliente che dovrà valutarne la “familiarità” e la vera utilità.

Cosa possono fare le aziende italiane nei prossimi 5 anni per restare competitive?

Dobbiamo continuare a inventare nuovi prodotti e servizi e al contempo reinventare quelli che esistono già. Senza mai dimenticare che, a creare valore, non sono i prodotti o i servizi, ma i clienti. Abbandoniamo l’idea di partire dalle soluzioni per andare in cerca dei problemi, ma facciamo proprio il percorso contrario.

Dobbiamo imparare a non vivere solo di buone idee, ma di capacità di esecuzione più ferrea e coerente con le promesse di inizio progetto.

Dobbiamo investire in una certa idea di leadership: quella che lascia alle persone la libertà di dissentire. Meglio dissentire che essere leali ma passivi, magari già con un piede sulla soglia dell’azienda. Alle aziende servono talenti non semplicemente allineati alla cultura aziendale ma che sappiano arricchirla, farla crescere.

Occorre poi investire nella comunicazione, anche interna all’azienda. Spiegare, chiarire, dialogare, ripetere, se necessario: questo può davvero fare la differenza. Infine credo che le aziende debbano tornare ad essere laboratori dove riaccendere la passione per la sperimentazione, dove testare e creare in modo sistematico.

Che ruolo giocano le Risorse Umane, invece, nella trasformazione aziendale e digitale?

La maggior parte delle organizzazioni confina le risorse umane all’interno della loro funzione strettamente definita, senza un reale coinvolgimento nelle dinamiche aziendali. In questo modo peccano di scarso ascolto e dimostrano di mancare di visione. Dovrebbero invece supportare tutte le risorse umane, dall’ultimo arrivato ai dirigenti. Dovremmo inoltre snellire le attività operative per concentrarsi sul valore, e imparare a misurare e a migliorare tutti i processi aziendali, compresi quelli tipici delle risorse umane.

C’è un tema di “talent management” inoltre da non sottovalutare. Si dovranno trovare sinergie sempre maggiori tra azienda, università e ditte di consulenza che possano introdurre e istruire giovani talenti come facciamo noi in Leanbet.

Come si può coinvolgere l’ambito HR in questo grande cambiamento culturale?

Applicare la Lean in azienda può apportare un enorme valore anche alle risorse umane. Le persone usano il termine “Lean HR” per riferirsi all’applicazione di pratiche snelle alle risorse umane, nella speranza che le attività delle risorse umane (reclutamento, assunzione, formazione, revisione…) possano essere svolte in modo più efficiente. Ma le risorse umane devono aiutare i propri colleghi a comprendere meglio come opera l’azienda attraverso i processi che essi gestiscono, e come individuare gli sprechi, o i problemi, e apportare correttivi; come, infine, il lavoro che stanno svolgendo si allinea con gli obiettivi aziendali. Se partissimo da un feedback strutturato per capire cosa gli altri reparti pensano del ruolo HR in azienda, probabilmente scopriremmo che le ritengono troppo concentrate sugli aspetti normativi e amministrativi.

Innanzitutto le risorse umane sono nella posizione migliore per ridefinire i ruoli lavorativi in modo da garantire che tutti gli ambiti e tutti i membri dell’organizzazione siano in linea con le competenze snelle di cui la visione, la missione e gli obiettivi dell’azienda necessitano. Esse devono prima di tutto aiutare ad assumere e formare manager e supervisori in grado di guidare questa cultura snella: il valore qui sta nella selezione e nello sviluppo delle persone.

In secondo luogo, in genere le risorse umane possono influenzare il percorso di leadership all’interno dell’azienda, il che è fondamentale per una trasformazione snella di successo. In più, svolgono un ruolo significativo nello sviluppo e nel mantenimento della cultura di un’azienda.

Le risorse umane possono inoltre contribuire positivamente al successo strategico e finanziario dell’azienda. Il modo in cui assumono, addestrano, conducono revisioni e gestiscono i premi determina chiaramente la redditività. Infine, credo che le risorse umane dovrebbero creare percorsi che permettano a tutti (anche alle risorse umane stesse) di ruotare all’interno dell’organizzazione.

Quali sono, in conclusione, le sfide formative che i manager delle aziende dovranno affrontare nei prossimi anni?

Sono molte; ecco quelle che giudico più pressanti:

  1. Introdurre programmi di sviluppo per ogni fase del ciclo di vita del dipendente, dai neo assunti ai manager. Affiancati magari da percorsi di reverse mentoring, perché anche i giovani hanno molto da insegnare in tema di digitalizzazione.
  2. Introdurre in azienda il piacere della lettura, anche attraverso modalità competitive, per uscire dall’autofagia culturale nella quale molte realtà si perdono.
  3. Educare alla responsabilità, alla fiducia e all’autonomia.
  4. Introdurre i principali concetti di neuromarketing, già molto maturi, e familiarizzare coi concetti di open innovation e di benchmark.
  5. Trovare buoni mentori interni ed esterni all’azienda. Importante è il confronto con persone professionalmente e umanamente più esperte e dense, che possano porre giuste domande e accompagnare gli high-flyers in azienda.
  6. Uscire del paradigma del group-thinking, la tendenza a ricercare il consenso anziché stimolare il dissenso. Significa coltivare la verità piuttosto che la ceca lealtà, e coltivare la meritocrazia delle idee.
  7. Spiegare il perché fondativo del proprio business chiedendosi sempre “Che impatto ha sulla vita delle persone?”
  8. Reinventare la cultura aziendale per accogliere i meccanismi della YOLO Economy (“Si vive una volta sola”, in inglese You Only Live Once).
  9. Educare alla cultura dei KPI, i Key Performance Indicator. Nonostante possano avvicinarle ai clienti, alcuni di essi sono ancora sconosciuti a molte aziende, come il Customer Effort Score (CES), il Net Promoter Score (NPS), il Customer Satisfaction Score (CSAT), il Time To Resolution (TTR).

Le aziende come possono formarsi per fronteggiare queste sfide?

Come Leanbet proponiamo un percorso molto denso e molto completo in ambito di Operations Management, nonché uno in Lean, che verrà presentato entro l’anno. Ogni giorno entriamo nelle aziende per accompagnarle verso il miglioramento continuo con percorsi che procedono su due binari paralleli: quello tecnico e quello relazionale.

andrea bet

Chi è Andrea Bet

Ingegnere meccanico entrato in azienda come stagista, ha lavorato in Italia e in Europa come Lean R&D Manager e come Kaizen Manager. Ha industrializzato e diretto grandi siti produttivi in Tailandia e Cina per una multinazionale europea. In Oriente approfondisce la cultura Kaizen, che ha modo di applicare in concreto ogni giorno e che fa ormai parte del suo DNA professionale e umano.

Parallelamente nel 2004 fonda Leanbet e inizia l’attività di consulenza e di formazione aziendale. Ha conseguito l’Executive MBA alla BBS e insegna gestione della produzione all’Università di Ferrara e all’EMBA di Udine. È inoltre direttore scientifico della MASTERCLASS in OPERATION MANAGEMENT alla FAV di Bologna.

LEANBET SRL Consulenza direzionale

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