Le imprese del farmaco non si sono mai fermate. Fra i settori “essenziali” è stato fra quelli cruciali per i milioni di persone che, non solo in Italia ma anche nel mondo considerata l’incidenza dell’export italiano, possono vivere grazie alla produzione di queste aziende. La dottoressa Isabella Crea, HR Manager di Diaco Farmaceutici S.r.l., ci […]

Le imprese del farmaco non si sono mai fermate. Fra i settori “essenziali” è stato fra quelli cruciali per i milioni di persone che, non solo in Italia ma anche nel mondo considerata l’incidenza dell’export italiano, possono vivere grazie alla produzione di queste aziende.
La dottoressa Isabella Crea, HR Manager di Diaco Farmaceutici S.r.l., ci ha raccontato come è stato affrontato il periodo di emergenza in un’azienda del settore biomedicale, che proprio a Trieste ha il suo distretto produttivo.
Diaco Farmaceutici è attiva sul mercato italiano ed europeo dei settori farmaceutico, cosmetico e dei dispositivi medici. Un’azienda in decisa crescita, in cui lavorano poco meno di 100 collaboratori e che ha continuato ad assumere personale anche in piena crisi Coronavirus.
La risposta dell’industria farmaceutica all’emergenza per combattere la diffusione della malattia è stata compatta, con investimenti nella ricerca di sistemi diagnostici, trattamenti e vaccini. Il comparto ha adottato tutte le misure previste dal governo per garantire la prosecuzione delle attività produttive nel rispetto delle norme di sicurezza e con la massima attenzione alla tutela dei propri lavoratori. Quali sono state le prime reazioni della sua azienda e le prime misure adottate per far fronte a questa emergenza improvvisa ed inaspettata?
Le prime misure sono state adottate per garantire la sicurezza dei lavoratori. In primis abbiamo introdotto lo smart working per chi poteva lavorare da casa, una quarantina di persone circa. Ci siamo quindi organizzati per contingentare le presenze all’interno dell’azienda e degli spazi comuni, abbiamo attivato la sanificazione dei locali utilizzando un’apparecchiatura all’ozono acquistata appositamente e avvalendoci della nostra impresa di pulizie che utilizza a questo fine prodotti specifici. Abbiamo messo in atto il rispetto della distanza minima di un metro, secondo quanto indicato dalle misure governative. In produzione, al di là di alcune circostanze specifiche, non vi sono stati particolari problemi perché gli spazi sono ampi e quindi garantiscono già questa distanza. Siamo stati invece costretti a sospendere le attività di formazione delle nuove operatrici addette al controllo qualità, la cui formazione avviene affiancando l’operatore senior e la persona da formare a una distanza ravvicinata. La formazione è stata quindi sospesa e riavviata solo quando abbiamo introdotto l’utilizzo di mascherine FFP2, che hanno consentito di procedere in sicurezza.
Per chi accede agli uffici, la misurazione della temperatura viene effettuata all’ingresso dalla persona in reception con termometri a raggi infrarossi, mentre sono i capoturno a verificare quella di chi lavora in produzione, ripetendo il controllo ad ogni inizio turno. Nel caso in cui qualcuno avesse la febbre, verrebbe immediatamente isolato e invitato ad abbandonare lo stabilimento. Abbiamo tappezzato l’azienda di cartellonistica per veicolare le informazioni sul corretto rispetto della normativa e fatto in modo che sia sempre assicurata l’aerazione dei locali. Non ci siamo quindi mai fermati e proprio in questo periodo abbiamo introdotto un prodotto nuovo, un igienizzante spray al 75% di alcool, che può essere utilizzato per le mani, per le superfici e per i tessuti e che abbiamo già lanciato sul mercato. In questo frangente abbiamo cercato di agire al meglio per fronteggiare questa situazione, anche predisponendo alcune donazioni per gli ospedali. Non abbiamo quindi mai interrotto la produzione, anzi, dopo l’inizio della pandemia abbiamo assunto nuovi operatori, incrementando l’organico dell’area produttiva.
Per ognuno di noi i primi momenti sono stati di smarrimento ed emozioni come paura ed ansia si sono impossessate del nostro stato d’animo. Quali azioni avete messo in atto per supportare i vostri dipendenti affinché le loro prestazioni e la loro concentrazione subiscano quanto meno possibile le conseguenze legate al senso d’isolamento e di incertezza?
Non è stato facile, anche umanamente. In parte per la situazione effettiva, in parte per come veniva veicolata dai media, alcuni erano davvero molto intimoriti. Per rassicurare i nostri dipendenti abbiamo messo in atto una serie di azioni e di misure utili a tutelarne la sicurezza e a ridurne il senso di disagio. Abbiamo invitato in sede il nostro medico competente affinché chiarisse ai dipendenti che cosa stava succedendo e quali fossero i comportamenti da tenere per la sicurezza di tutti, ed è stata fatta formazione e informazione sul corretto uso dei DPI, che abbiamo utilizzato nelle situazioni di rischio.
Tutte le attività che non consentivano di operare mantenendo la distanza fisica necessaria sono state sospese, comprese le attività di formazione in aula sulla sicurezza che è proseguita nella modalità a distanza. Particolare attenzione è stata posta nel contingentare l’accesso alle zone comuni, dallo spazio adiacente la macchinetta del caffè, alle zone fumatori esterne, alle sale di ristoro dove abbiamo tolto parte delle sedie per distanziare i posti a sedere, agli spogliatoi in cui l’accesso è stato consentito per quattro persone al massimo, ai bagni, alle docce che sono state inizialmente chiuse per poi essere rese nuovamente accessibili, ma solo ai due operatori che hanno mansioni imbrattanti e a cui abbiamo dedicato una doccia ciascuno. Abbiamo posizionato in tutto lo stabilimento punti di igienizzazione mani. Anche per l’accesso di persone esterne, è stato introdotto un protocollo con tutte le accortezze del caso, richiedendo l’utilizzo della mascherina e misurando la temperatura.
Si parla molto di smart working, o più propriamente remote working in taluni casi, e quasi tutte le aziende lo stanno praticando. Secondo lei sarà un modello che potrebbe essere poi adottato su larga scala e, se sì, quali sono i problemi e quali i vantaggi che potrebbero derivare da questa modalità?
E’ possibile che continueremo ad utilizzare lo smart working. Dovremo valutare il giusto equilibrio tra performance, in cui sia richiesta o meno una presenza fisica in azienda. Nella nostra azienda la relazione sociale ha una sua connotazione particolare, che lavorando da remoto viene meno a causa di una comunicazione che diventa meno fluida ed immediata poiché sempre filtrata da un mezzo, che sia la mail, una call o il telefono. La nostra è una struttura piatta che rende la comunicazione in presenza funzionale a procedere con passaggi rapidi. Diciamo che a distanza si crea un modo diverso di comunicare, che può risultare invece assolutamente efficace per contesti diversi dal nostro, penso magari ai team trasversali che lavorano in aziende multinazionali. Poi naturalmente dipende anche dal tipo di mansione, sicuramente la gestione di un ruolo amministrativo a distanza è più semplice rispetto ad un ruolo che comporta la gestione di persone, per il quale è opportuna una connotazione di presenza fisica, penso per esempio alla rilevanza degli aspetti legati al non verbale. Per noi è stato comunque possibile rispondere con immediatezza alle nuove disposizioni per l’avvio dello smart working, in azienda eravamo infatti già dotati di tutti gli strumenti necessari. A parte la connessione esterna che è stata attivata per questa necessità specifica, eravamo già tutti in possesso di laptop magari abbinato ad uno schermo o ad una tastiera e chi non era già dotato di smartphone aziendale è stato autorizzato all’utilizzo di quello personale.
Ad emergenza finita ed appena si riuscirà a rientrare nel pieno della normale attività lavorativa, quale sarà secondo lei il primo grande problema da affrontare? A suo parere il mercato del lavoro sarà lo stesso? Adotterà le stesse regole fino ad oggi adottate o pensa che il coronavirus potrebbe rivelarsi un’opportunità da cogliere per andare in direzioni più innovative e di conquista come appunto lo stesso smart working?
Per quanto riguarda l’innovazione, la pandemia ha avuto un effetto di forte accelerazione per i sistemi aziendali non solo privati ma anche attinenti al comparto pubblico, consentendo alle aziende di digitalizzarsi, di rendersi dinamiche e di concepire il lavoro in termini di obiettivi da raggiungere e non necessariamente come presenza fisica in ufficio. Sono certa che lo smart working è una misura che molte aziende continueranno ad adottare. Per il mercato del lavoro le ripercussioni saranno e già sono molto pesanti. Ristorazione, turismo, esercizi pubblici sono ambiti già in pesante sofferenza. Me lo conferma anche il numero di curricula che ci stanno arrivando proprio da persone provenienti da questi settori.
Chi è Isabella Crea
Dopo essersi laureata presso la facoltà di Scienze della Comunicazione, frequenta un corso di specializzazione presso il MIB School of Business di Trieste grazie al quale poi entra in contatto con Wind sede centrale di Roma, azienda dove inizia un percorso nei settori marketing e commerciale. Poi, nel 2006 decide di rientrare a Trieste e da allora lavora nelle risorse umane, dapprima con un’esperienza in agenzia per il lavoro per poi passare nei reparti HR di realtà industriali organizzate del territorio regionale, prima nel gruppo Principe e poi in Diaco. In questi anni ha svolto mansioni a 360° nell’ambito risorse umane (selezione, amministrazione, formazione), per arrivare a consolidare anche un ruolo di gestione delle risorse e delle relazioni industriali.