Per la nostra rubrica The Question Corner, abbiamo avuto il piacere di intervistare Lucia Meden, Group HR e docente del corso “Human Resources Management” alla MIB Trieste School of Management. Insieme abbiamo parlato delle sfide e degli sviluppi futuri della professione HR, toccando inoltre il tema dell’occupazione femminile e l’importanza di una cultura aziendale che […]

Per la nostra rubrica The Question Corner, abbiamo avuto il piacere di intervistare Lucia Meden, Group HR e docente del corso “Human Resources Management” alla MIB Trieste School of Management.
Insieme abbiamo parlato delle sfide e degli sviluppi futuri della professione HR, toccando inoltre il tema dell’occupazione femminile e l’importanza di una cultura aziendale che favorisca l’uguaglianza di genere.
Iniziamo con una breve presentazione: ci racconti un po’ del suo percorso di carriera.
Sono arrivata a occuparmi di HR quasi per caso. Trent’anni fa pochi sapevano – soprattutto per chi viene da aree geografiche periferiche come la mia – cosa significasse occuparsi di gestione HR, soprattutto in termini di sviluppo. Le multinazionali in Italia cominciavano a muovere i primi passi su questi temi.
All’Università però avevo già capito che, da studentessa lavoratrice quale ero, la pianificazione e l’organizzazione erano aspetti che facevano parte del mio bagaglio, così come l’attenzione e l’ascolto degli altri, insieme ad un forte orientamento al risultato. Infine, una curiosità per il diverso, il nuovo, il mondo, mi hanno aiutata nel comprendere quella che poteva essere una mia strada.
Ho iniziato quindi a lavorare in una società austriaca della grande distribuzione occupandomi di reclutamento e selezione, passando per il farmaceutico in un’azienda britannico-americana, per poi approdare alla costruzione di grandi impianti, sempre in aziende con una forte spinta internazionale dove ci fossero da portare crescita e/o cambiamento. Queste esperienze mi hanno poi portata a lavorare, per un lungo tratto del mio percorso, in un colosso tedesco.
Ora lavoro (non mi capitava da tempo) in una multinazionale tutta italiana!
Secondo lei, quali sono gli aspetti determinanti e predominanti della sua professione?
Direi l’aggiornamento continuo non solo delle tecnicalità, ma di un’informazione veloce su tutto ciò che accade intorno a noi. Un HR non può portare risultati soddisfacenti se vive fuori dal contesto in cui opera e non comprende anticipatamente quanto sta cambiando in termini di comportamenti e di aspettative: questo vale sia all’interno dell’organizzazione (management e collaborator) che all’esterno (candidati). Inoltre, per essere un buon supporto al business, l’HR deve comprendere i fattori chiave dell’organizzazione per la quale opera.
Un altro aspetto cruciale è la capacità di essere sempre super partes. Chi lavora nell’HR ascolta tutti, ma valuta oggettivamente: forse questo è uno dei temi che fa davvero la differenza nel nostro ambito. A volte questo costa in termini professionali, ma non vedo altre strade. Questa professione, come tante altre, deve essere una scelta. Non è per tutti.
Quali le sfide che oggi si ritrova ad affrontare chi ricopre un ruolo come il suo?
In passato, per il solo fatto di ricoprire la posizione di “direttore del personale”, c’era un rispetto “gerarchico” del ruolo e quindi, almeno apparentemente, era più facile raggiungere gli obiettivi se si era dei bravi tecnici. Oggi, e a mio avviso per fortuna, la professionalità ce la giochiamo sui risultati e sulla capacità di lavorare con il management e i collaboratori, sapendo che la complessità e la velocità sono tali che non possiamo fare tutto da soli. Sarebbe mancanza di visione affermare il contrario.
Se pensiamo poi alla recente pandemia, solo HR fortemente adattabili e pronti hanno potuto dare un grosso contributo al management nella gestione di questa inaspettata lunga emergenza.
Pensiamo a come sono cambiate profondamente, e continuano a cambiare, le aspettative di chi si affaccia al mondo del lavoro oggi. L’azienda è sempre più qualcosa di concettuale, una relazione, un’interazione con le infrastrutture tecnologiche. Lo spazio fisico diventa sempre più qualcosa di meno significativo. Forse abbiamo visto ancora poco rispetto agli stravolgimenti che avremo in futuro su questo tema. Cosa significheranno d’ora in poi i concetti di team work, team building o comunicazione?
Altro tema molto accattivante per me è la convivenza di differenti generazioni contemporaneamente … quanti stimoli per l’organizzazione. Temi che avevano portato mutamenti minimi in 20 anni, si modificano ora annualmente. E cosa dire dei leader e della tanto studiata Leadership? Cosa significa fare il capo oggi? Compito dell’HR sarà accompagnarli in questa trasformazione.
È da poco passata la giornata dell’8 marzo: occasione per riflettere sullo stato dell’occupazione femminile. Che ruolo ritiene abbiano le Risorse Umane nel promuovere una cultura aziendale basata sull’uguaglianza di genere?
Le Risorse Umane hanno un ruolo di facilitatori di tutti i processi di cambiamento, di trasformazione, di inclusione. Certamente da sole, anche le più motivate e skillate, non fanno molto.
Di fatto si tratta di un tema legato ai valori aziendali. Se il tema dell’uguaglianza di genere fa parte dell’impresa il lavoro sarà facile, viceversa … non avrei grandi aspettative. E visto che continuiamo a parlarne significa che il problema è ancora irrisolto.
Secondo lei che impatto avranno tutte queste sfide sulla figura di HR Manager? Ci sarà un’evoluzione che ne cambierà il ruolo da qui in avanti?
Il ruolo cambierà come è cambiato continuamente in questi anni.
Oggi l’HR Manager si occupa per il 90% di attività che precedentemente non esistevano o erano marginali: employer branding, comunicazione, influencing, coaching, ascolto, burnout, work-life balance. Se incontrassi uno dei primi HR Director con cui mi sono confrontata in qualche convegno quando ero una junior HR mi chiederebbe che lavoro sto facendo oggi!
Mi chiedo sempre se esisterà ancora questo ruolo tra qualche anno. Se in futuro lavorassimo tutti – estremizzando il concetto – dal nostro divano, che contributo potrebbe dare l’HR?
Io personalmente penso che possa essere ancora un ruolo determinante quale collante di un gruppo di persone che non si vede più solo fisicamente, ma che ha necessità di orientamento o supporto. È compito dell’HR mettersi in discussione, lo ripeto, insieme alle funzioni apicali dell’azienda!
Nella sua carriera professionale ha qualche ricordo di fatti significativi, belli o meno belli, che le hanno lasciato un segno importante? Ci vuole raccontare un aneddoto?
I ricordi sono tanti! Il fatto di aver conosciuto persone diverse in varie parti del mondo mi ha fatto crescere e mi ha dato numerose opportunità di confronto e di mettermi in discussione.
Visto il tema delle donne, citerei il fatto che un’illuminata azienda nella quale ho trascorso 10 incredibili anni non mi ha discriminata per il fatto che avevo più di 40 anni ed ero mamma da poco. Ha tenuto conto solo delle mie competenze. Purtroppo non è così scontato.
Ci sono molti giovani che si stanno avvicinando all’ambito delle Risorse Umane. Che consiglio darebbe loro per affrontare al meglio questa professione?
È un po’ la sintesi di quello che ho detto finora e forse, allo stesso tempo, nulla di quello che ho detto finora: ognuno deve costruire la propria esperienza.
Direi comunque certamente che sono richiesti una profonda indipendenza di pensiero, apertura mentale, forte empatia, capacità di adattamento e di gestire situazioni che improvvisamente cambiano e mettono in discussione tutti i nostri progetti visto che ci occupiamo di Persone in ambito organizzativo.

Chi è Lucia Meden
Oltre 30 anni di esperienza come HR Manager all’interno di multinazionali estere di diversi settori, Lucia Meden è inoltre docente del corso “Human Resources Management” alla MIB Trieste School of Management.