VoipVoice, lo smart working ben prima del COVID-19

Nel 2019 un’azienda toscana vince due premi grazie allo smart working. Il primo a Primavera d’Impresa e il secondo al Forum UCC & Social Collaboration, entrambi come riconoscimento di un modello aziendale basato su una cultura lavorativa ancora poco diffusa. Parliamo di VoipVoice, primo Provider di telefonia VoIP totalmente Business Oriented in Italia, con circa […]

VoipVoice, lo smart working ben prima del COVID-19

Nel 2019 un’azienda toscana vince due premi grazie allo smart working. Il primo a Primavera d’Impresa e il secondo al Forum UCC & Social Collaboration, entrambi come riconoscimento di un modello aziendale basato su una cultura lavorativa ancora poco diffusa. Parliamo di VoipVoice, primo Provider di telefonia VoIP totalmente Business Oriented in Italia, con circa 8.000 clienti, 600 rivenditori in Italia, certificazioni e collaborazioni con le aziende leader del mercato VoIP, italiane e straniere. Le telefonate in VoIP che passano dai suoi server e dalla sua piattaforma ogni mese sono circa 3,5 milioni.

Ci incuriosiva capire come funziona lo smart working in un’azienda in cui l’Imprenditore non vuol sentire parlare di dipendenti, definendolo un termine assurdo. “Ma quali dipendenti? Sono io forse a dipendere da loro, senza i quali non potrei fare nulla. Sono collaboratori, colleghi, compagni di viaggio, persone che mi regalano il loro tempo”.

L’imprenditore è l’Ing. Simone Terreni, fondatore di VoipVoice, che ringraziamo per averci aiutato a capire quali sono i motivi per cui in VoipVoice la modalità smart funziona davvero alla grande.

Le aziende che hanno avviato progetti strutturati di smart working prima dell’emergenza sanitaria e prima che venisse utilizzato come forma di limitazione al contagio, sono in buona parte grandi aziende, spesso internazionali. Se si parla invece di PMI, la situazione cambia e la strada da fare per superare alcune barriere culturali, ostative all’adozione di questa modalità lavorativa, è ancora tanta. Ma non è sempre così, VoipVoice adotta lo smart working da anni e con ottimi risultati. Qual è stato l’input che vi ha portato in questa direzione?

La tecnologia ci ha permesso di mettere in campo un modello lavorativo completamente diverso ed è stata proprio la diffusione di una tecnologia, soprattutto la parte digitale, che negli anni precedenti ancora non c’era ad averci portato a fare questo passo.  Il telelavoro è sempre esistito ma se invece parliamo di smart working va detto che una delle novità che lo caratterizzano consiste nel fatto che attraverso gli strumenti digitali è possibile svolgere da casa, o da altro luogo, esattamente le medesime attività che si svolgerebbero in ufficio.

VoipVoice lavora nella digitalizzazione delle telecomunicazioni e per fare questo si utilizzano strumenti specifici, le Unified Communications – comunicazioni unificate – per cui al posto del vecchio centralino analogico, quello con il filino di rame per capirci, si utilizzano piattaforme informatiche dove è possibile la cosiddetta Collaboration. Naturalmente non abbiamo né inventato né creato noi questa tecnologia ma, lavorando nel settore, siamo entrati in contatto con una serie di aziende estere in cui tale tecnologia era presente e già allora abilitante di un modello lavorativo. Noi lavoriamo, per esempio, con aziende tedesche come la Fritz e la Snom che, anziché aprire una sede locale qui in Italia, si avvalevano sul territorio di smart worker e affittavano locali in coworking per organizzare eventi o riunioni quando necessario. Queste dinamiche le abbiamo viste anche in aziende cinesi, in grandi aziende americane come Plantronics, oggi Poly, ovvero l’azienda che produsse le cuffie che resero possibile a Neil Armstrong comunicare con la terra dalla luna. Questo modello quindi già esisteva all’estero.

Parlando invece dell’Italia, diciamo che per lavorare in modalità smart, oltre ad un portatile e cuffie di buon livello, serve una connettività di valore ma sul nostro territorio nazionale questo tipo di connettività è giunta solamente negli ultimi anni, attraverso l’introduzione della fibra e del 4G. Prima di ciò, lavorare da casa risultava molto difficoltoso. Sebbene sia stato regolamentato in Italia nel 2017, noi lavoriamo in smart working già dal 2015. Lavoravamo con tre persone in Partita Iva che alternavano la loro operatività fra casa e azienda poiché – attenzione a non confondere lo smart working con il remote working – con frequenza variabile ma le persone in azienda ci devono venire.  Perché quindi lo smart working? Abbiamo visto un buon esempio, una buona pratica che abbiamo avuto la possibilità di toccare con mano, e abbiamo perciò deciso di inserirlo nel nostro modello lavorativo.

Prima dei provvedimenti innescati dal Coronavirus, in smart working lavoravano undici dei vostri trenta collaboratori. VoipVoice non si è mai fermata durante il lockdown e con l’emergenza tutto lo staff è entrato in modalità smart. Forti di un’esperienza consolidata, come vi siete riorganizzati con l’estensione del lavoro a distanza per tutta l’azienda?

Non c’è stata una riorganizzazione, noi eravamo già organizzati in questo modo. Siamo abituati a lavorare per obiettivi, ogni collaboratore ha un obiettivo personale, un obiettivo legato al Team in cui è inserito, un obiettivo generale aziendale e ogni mese viene fatto il check. Da imprenditore valuto la produttività e considero gli obiettivi in ottica S.M.A.R.T.

Un cambiamento però c’è stato e riguarda le modalità di verifica e monitoraggio, perché alcune persone non erano abituate a stare a casa così a lungo. Normalmente le nostre riunioni mensili venivano organizzate tutte in sede ma con la crisi le abbiamo trasferite sul Web e abbiamo iniziato a lavorare molto di più sulle piattaforme di Unified Communications, grazie alle quali abbiamo potuto organizzare le videocall che, ricordiamolo sempre, vanno ben programmate e mai lasciate all’improvvisazione. Per cui ad inizio mese sia io sia i miei responsabili indicavamo per ogni giorno della settimana quali erano gli appuntamenti dedicati a fare il punto della situazione con i collaboratori.

I vostri collaboratori hanno dovuto affrontare questo improvviso cambiamento verificatosi contemporaneamente ad un trend di crescita per VoipVoice esploso proprio nelle prime settimane della crisi. Come li avete supportati?

Noi forniamo un servizio ritenuto ormai essenziale per il Paese e quindi eravamo in qualche modo obbligati a rimanere aperti, del resto a 60 milioni di italiani è stato chiesto di rimanere a casa ed erano tutti su Internet. Per cui a marzo abbiamo lavorato davvero come dei matti, ad aprile il mercato si è fermato, a maggio siamo ripartiti alla grande. Siamo stati tra gli ultimi a fermarci e tra i primi a ripartire.

Quindi cosa abbiamo fatto per i nostri collaboratori? Per prima cosa abbiamo fornito gli strumenti. A questo proposito ho scritto un post: “Lo smart working non si fa con il PC del dipendente”. È estremamente grave che un’azienda non investa negli strumenti di lavoro, si rasenta lo sfruttamento. Gli undici lavoratori di VoipVoice che già da prima lavoravano in smart working avevano la connettività a casa, quindi abbiamo fornito connettività performante anche a chi fra gli altri diciannove non ne era dotato, abbiamo comprato i PC anche per le ultime tre persone inserite che essendo in prova avevano ancora una postazione fissa, abbiamo permesso a chi lo voleva di portarsi a casa tutte le dotazioni lavorative che avevamo in azienda, tipo sedie ergonomiche e monitor. Se chiedi a una persona di lavorare da casa, devi dargli una sorta di riproduzione del luogo di lavoro che sia idonea. Infine, come direzione, abbiamo stabilito l’erogazione ad ognuno dei nostri collaboratori di un bonus di 100 € per ogni mese svolto in smart working, a sostegno delle maggiori spese sostenute lavorando in casa a partire da luce e gas. In totale 300 € a persona. La cultura dello smart working da noi è talmente radicata che la nuova sede è stata concepita e realizzata proprio per lavorare in questa modalità. Da noi non esiste più il concetto della postazione fissa, ogni collaboratore è dotato di un PC portatile e di cuffie professionali wireless che consentono di essere perfettamente operativi da qualsiasi punto dell’azienda, senza dover restare seduti otto ore nella stessa postazione.

I vantaggi connessi allo smart working per aziende e per lavoratori sono molteplici e ormai noti. Fra gli altri, lei pone in evidenza l’opportunità di attirare talenti lontani dalla zona in cui si opera. VoipVoice ha beneficiato di questa possibilità? In che termini?

Montelupo Fiorentino è la periferia della periferia perché Firenze, grande città d’arte ma poco incline all’innovazione salvo alcuni casi, è già periferia. Come si fa a rendere centro la periferia? Lo si fa cercando di avere un atteggiamento completamente diverso rispetto alle persone. Nel blog del nostro sito abbiamo fatto parlare i nostri collaboratori, che raccontano le loro storie. Mi viene in mente Anna, pugliese, che voleva andare a lavorare al nord ma anziché Milano o Roma, ha scelto Montelupo Fiorentino. Penso a Raffaele e Simone, uno di Lucca e uno di Massa Carrara distanti un’ora di auto l’uno e un’ora e mezza l’altro, che invece di rimanere nella loro zona vengono a lavorare da noi ma per due giorni a settimana anziché cinque, avendo così più tempo per la propria vita personale. Penso anche a Giovanna, Claudia e Desirée, che abbiamo inserito in Inside Factory, la società che abbiamo creato per gestire il marketing di VoipVoice. Queste nostre tre collaboratrici lavorano una a Padova, una a Rimini e una a Napoli e sono i nostri punti di riferimento direttamente sul territorio quando ci spostiamo per gli eventi. Ho scelto sei esempi di persone che mai avrebbero lavorato per noi se non ci fosse stata la modalità smart.

Ing. Terreni, lei lancia una provocazione molto interessante: “Basta chiacchiere, abbiamo bisogno di buoni esempi”. Basta teoria, basta paroloni, per arrivare ad un cambio di mentalità un approccio concreto può rivelarsi un ottimo catalizzatore. Una chiave di volta per favorire il superamento delle barriere culturali, che in alcuni contesti non facilitano l’utilizzo del lavoro a distanza, sembra poter essere proprio questa. Esattamente cosa intende?

Questo maledetto Covid-19 ha dimostrato che lo smart working si può fare! Anzi, abbiamo constatato non solo che è fattibile ma anche che può portare risultati uguali o addirittura superiori rispetto ai precedenti. Finalmente lo smart working è uscito dai convegni e dalla dimensione di sola teoria che, molto spesso, li caratterizza. Ritengo invece sia opportuno andare oltre gli aspetti meramente teorici e rendere comprensibile come effettivamente lo si mette in pratica, a che cosa serve, chi lo fa, facendo i nomi e i cognomi di chi lo utilizza veramente, riportando insomma le singole esperienze nella loro specifica concretezza.

Ovvero, in che termini è stato attuato? Gli spazi lavorativi in azienda sono stati concepiti in maniera diversa da prima? Che tipo di cuffia è meglio utilizzare? La sicurezza dei dati come viene gestita? Se il lavoratore non ha una copertura idonea quali strumenti si possono utilizzare? È stato attivato per una criticità specifica, come può essere la gestione di figli piccoli, o è concepito come flessibilità di spazi e di orari, senza conteggiare più i minuti e le ore ma il raggiungimento degli obiettivi prefissati? E così via. Quello attuato massivamente in queste settimane è di certo uno smart working dai tratti emergenziali, ma di casi come il nostro ce ne sono altri ed è importante far sapere come funzionano.  Noi lo abbiamo fatto nel nostro blog con il nostro modello e le storie dei nostri collaboratori insieme a diversi Case History dei Partner con cui lavoriamo e che ci hanno raccontato come funziona la formula smart nella loro azienda. Ad oggi ne abbiamo raccolti ventisette, a breve ne aggiungeremo altri nove.

La crisi in atto è di portata epocale. Si dice che niente sarà più come prima, si parla di New Normal, di cambio di paradigma. Insomma, indietro non si torna. Il modo di lavorare cambierà, sebbene non sia ancora chiaro come. Lei come la vede?

Pessimista nel breve termine e ottimista nel lungo. Dopo tre mesi di lockdown la voglia di socialità oggi impazza, come se nulla fosse successo, come se non si morisse ancora. La pandemia c’è, non è finita e lo smart working è tuttora funzionale al contenimento del contagio. Dopo lo smart working dettato dall’emergenza, sarebbe opportuno fosse attuato adesso nella sua forma corretta.

Noi in VoipVoice continuiamo a lavorare da casa, forse verso metà mese riapriremo la sede ma si parlerà eventualmente di un piccolo presidio. Ho però visto aziende correre ai ripari acquistando di tutto e di più, dai guanti al plexiglass, pur di riavere il collaboratore in sede. Quindi devo dire che io questo New Normal proprio non lo vedo. Osservo piuttosto una sorta di liberi tutti e via, si ricomincia come prima.  Ma non è tutto come prima. Un precedente c’è stato e quindi i casi sono due: o i leader, manager o imprenditori, fanno un’analisi attenta di questo periodo e controllano se la produttività è cresciuta o meno, iniziando a dare una responsabilità maggiore ai propri collaboratori oppure sarà stato in qualche modo tutto tempo perso. Come dire che abbiamo scherzato, il virus è stato un’invenzione come sostiene qualcuno, si torni pure a come eravamo abituati.

Ma quando si crea il dubbio, quando entrano in circolo un nuovo modello e una nuova cultura lavorativa, quando insomma entrano in circolo le idee, il processo non si arresta. Cosa accadrà? Nel breve termine, i manager o gli imprenditori che già volevano mantenere il controllo sui collaboratori riprenderanno da dove e nello stesso modo in cui si era prima dell’emergenza. Nel lungo termine, dovrebbero verificarsi due fenomeni.  Da un lato si dovrebbe assistere ad una accelerazione nell’utilizzo dello smart working per la Pubblica Amministrazione e per le grandi aziende. Per la prima, in quanto ormai obbligo secondo decreto. Nel caso invece di aziende di grandi dimensioni, saranno gli stessi manager, considerato il positivo impatto su produttività e costi aziendali conseguenti ai mesi di lockdown, a prendere questa direzione.

Il secondo fenomeno riguarda invece le PMI. In questo tipo di contesti, se non sarà l’imprenditore ad aver colto opportunità e vantaggi insiti nella formula smart, allora ci dovrà essere una spinta dal “basso”. Saranno i lavoratori fidati, quelli che godono della fiducia del proprio responsabile, a dover spingere per questo cambiamento, forti di un’esperienza già sperimentata con tutti i benefici del caso. E saranno istanze da non ignorare. L’opzione smart working costituisce già per molti una forte motivazione nella scelta dell’azienda in cui lavorare.

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Ing. Simone Terreni Managing Director VoipVoice

Appassionato di Comunicazione, Ingegnere Informatico e Imprenditore Simone Terreni, classe 1972, è dal 2006 Managing Director di VoipVoice, il primo Provider VoIP Italiano Business Oriented. Dal luglio del 2016 è CEO & Founder di Inside Factory, brand powered by VoipVoice (organizzazione di Eventi, Webinar, Corsi di Formazione e servizi Marketing). Storyteller, dopo aver intrapreso un percorso personale di formazione specifica nel settore delle TLC, ha scritto il libro “Dai Segnali di Fumo ai Social” sulla storia delle Comunicazioni e su come sono nati i Social Network. È formatore per Confindustria Firenze, Confcommercio Catania, Elite Academy e ASEV (Agenzia per lo Sviluppo dell’Empolese Valdelsa). Ha collaborato, come docente, con Confartigianato Alessandria e Padova Promex. Convinto sostenitore dello Smart Working, dell’Innovazione Tecnologica e della necessità delle imprese di “crescere e svilupparsi” ha realizzato corsi di formazione aziendale e interaziendale su, tra gli altri, Digital Transformation e Social Strategy. È stato inserito tra i relatori del Web Marketing Festival, il più grande evento italiano dedicato al Marketing Digitale e di SMAU, il principale evento ICT in Italia. È appena uscito il libro Scilla e il Telefonino, una divertente storia per ragazzi, che affronta il tema dell’utilizzo consapevole dello Smartphone e del Cyberbullismo.